Gioiellini misconosciuti del genere poliziottesco

1 ottobre 2013

La nascita del cinema poliziottesco (termine coniato in maniera dispregiativa da alcuni critici dell’epoca per indicarne il genere), filone popolare per eccellenza ed ultima gloriosa pagina del cinema italiano, coincide con il declino del genere western, e viene fatto coincidere con l’uscita di quello che viene unanimemente considerato il capostipite: La polizia ringrazia di Stefano Vanzina (il padre della commedia Steno, che qui si firma per intero), nel 1972.
Il termine viene fatto coincidere con Poliziotto solitudine e rabbia, del 1980.
A differenza degli altri questo genere, con la sua ambientazione metropolitana, consente di assistere, attraverso una ideale macchina del tempo, ad uno spaccato di vita di quegli anni, verificando come siano cambiate nel frattempo le nostre città, quali erano i mezzi che vi circolavano, come si vestivano i nostri padri, quali erano i contesti sociali nei quali agivano.
Città come Milano, Roma, Genova divengono ambientazioni ideali sul cui sfondo le storie narrate, spesso assai simili, interagiscono con la realtà del tempo, fatta di scioperi, contestazioni politiche, lotte studentesche, traffico caotico, emarginazione, terrorismo, criminalità, emancipazione o semplice routine.
In queste pellicole si respira il clima saturo di tensioni e violenza, il desiderio di ribellione e di giustizia (a volte sommaria). Lo sceriffo o il cacciatore di taglie hanno lasciato gli assolati paesaggi del west ed il loro cavallo per i grigi scenari metropolitani, inforcando una Honda 750 cb four o sgommando sulla loro Alfa Romeo Giulia. E sono incazzati più di prima.
Inserite un dvd di uno di questi films, mettetevi comodi e buona visione. Imparerete più da una di queste pellicole che da tanti libri o trasmissioni sugli “anni di piombo”. 
E soprattutto lo farete divertendovi!

Milano Calibro 9
di Fernando Di Leo (1972)



Il miglior noir italiano. Di Leo sceglie Moschin come protagonista sebbene fino allora avesse interpretato solo ruoli brillanti. Tante scene sono diventate storia del cinema italiano, come l’iniziale sequenza dello scambio dei pacchi (sulle note degli Osanna, diretti dal maestro Bacalov), il ballo eseguito dalla Bouchet o la furia distruttiva di Adorf con inquadratura finale della sigaretta che lentamente si consuma.
Anche quella che da molti è considerata l’unica parte debole del film, lo scontro ideologico tra i due commissari, rappresenta comunque una prova di bravura da parte di due grandi attori del cinema di genere italiano (Wolff e Pistilli), purtroppo accomunati, oltre che dal ruolo nel film, dalla medesima triste fine per suicidio (Frank Wolff addirittura non vide l’uscita in sala del film).
Il primo personaggio che appare nel film, con impermeabile e baffetti, è il compianto Omero Capanna, uno dei migliori stuntman del cinema italiano.
Il grande racket
di Enzo G. Castellari (1976)



Il film d’azione per eccellenza, con tanti coprotagonisti (accanto al bravo Fabio Testi si muovono tanti volti noti del poliziesco come Vincent Gardenia, Orso M. Guerrini, Renzo Palmer, Glauco Onorato, ecc.), e due tra i migliori stuntman del cinema italiano: il compianto Romano Puppo (che è stato anche controfigura di C. Eastwood) e Giuseppe Cianfriglia (controfigura, tra i tanti, di Steve Reeves).
La scena in cui Testi rotola giù dalla scarpata con l’auto viene studiata nelle scuole di cinema come esempio di realismo (quando gli effetti speciali non venivano fatti al computer).
Il film incassò 315 milioni di lire.
Napoli Violenta
di Umberto Lenzi (1976)



Titolo imprescindibile del genere in quanto summa degli elementi che lo hanno reso così popolare: un commissario tutto d’un pezzo (Maurizio Merli, il migliore nel ruolo, che gira senza controfigura), azione frenetica (memorabile la scena della soggettiva della moto dei rapinatori tra i vicoli di Napoli), violenza in dosi massicce (ad esempio la scena del bowling) ed una delle migliori colonne sonore poliziesche (curata dal maestro Franco Micalizzi).
Il cittadino si ribella
di Enzo G. Castellari (1974)



Il maestro Castellari inventa un nuovo genere, con il comune cittadino giustiziere ma dei propri torti e non di una vendetta indiscriminata.
L’ingegnere Antonelli vuole solo punire coloro che lo hanno umiliato e per farlo è disposto a servirsi di un piccolo malvivente, del quale però diverrà amico.
Tanti temi, quindi, in un film più complesso di quanto non sembri.
Il film incassò 408 milioni di lire.
Mio caro assassino
 di Tonino Valerii (1972)



Più che poliziottesco (genere nel quale l'azione prevale sull'indagine) si tratta di un poliziesco-giallo che, sebbene presenti anche alcuni elementi del thriller (assassino seriale, sequenza di delitti nel corso della narrazione filmica), ha una solida sceneggiatura che non tralascia nessun elemento (impianto narrativo, indagine rigorosa, movente credibile).
Rappresenta un ottimo esempio di commistione tra generi (thriller, giallo e poliziesco).
Milano odia: la polizia non può sparare
di Umberto Lenzi (1974)



Chi prima di allora aveva conosciuto Tomas Milian per le interpretazioni sottotono ed in sottrazione di "La vittima designata" o "Non si sevizia un paperino" ebbe difficoltà a riconoscere l'eccessivo, schizofrenico, gigione protagonista di questo crudo poliziesco. Forse nessuno come questo attore trasformista avrebbe potuto rendere la pazzia dell'efferato Giulio Sacchi.
Nella pellicola si possono apprezzare anche le ottime interpretazioni della Strindberg (nei panni dell'inconsapevole fidanzata Jone), di Laura Belli (in quelli della ragazza sequestrata) e di un giovane Ray Lovelock e di Gino Santercole (in quelli dei complici).
L'ultima inquadratura sui palazzoni della periferia urbana milanese, dove crescono o nasceranno altri cento Giulio Sacchi pronti a colpire a causa della disperazione, esprime l'ineluttabilità della vicenda destinata a ripetersi con altri protagonisti.
Il film incassò 207 milioni.

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